Il Covid-19 ha preso anche me...
Il Covid-19 mi ha preso. Erano due anni esatti che schivavo la pallottola virale come Neo in Matrix, ma adesso mi ha preso.
Sono a casa, chiusa in salotto in quarantena a trascorrere questi giorni isolata, per fortuna sto bene. La voce era sparita, ora che sono a casa è tornata. La voce, quella che ho usato in questi due anni per parlare con le persone in farmacia, è stata il mio unico campanello d’allarme. La voce non c’era più, il camice l’avevo tolto dall’armadietto e la stanchezza aveva preso il sopravvento. La doppia striscia sul test antigenico positivo, mi aveva fatto fare un sospiro di sollievo. Ero stremata. Stanca. Erano anni che non andavo in vacanza ed erano due anni che lavoravo senza sosta. Ora la mia voce interiore mi diceva: “Ti devi fermare, vai a casa e prenditi cura di te.”.
Ricordo gennaio 2020, si iniziava a sentir parlare di questa lontana malattia respiratoria che colpiva la Cina, sono bastati due mesi per mettere l’intero paese e il mondo in ginocchio. Marzo 2020 era iniziato con la consapevolezza che l’Italia si sarebbe fermata. I due capisaldi della mia vita e nel lavoro, le due persone più tenaci che conosco erano a casa e non si sapeva assolutamente cosa fare. In farmacia eravamo in 5 e ogni giorno si vagliava la soglia con il terrore che questo virus buttasse giù qualcun’altro. La mia rabbia mi pervase il sangue quando il primo farmacista morto in Italia per Covid-19 era a 30 km di distanza da dove lavoravo e avevo i brividi. Ero arrabbiata, ma avevo il dovere di lavorare, dovevo far fede a quel giuramento fatto anni prima.
In poco tempo la Scienza ha fatto salti da gigante e quando a meno di un anno l’Italia ha iniziato a vaccinare la popolazione anziana e i sanitari, non ho esitato, anche se tutti quelli che mi stavano attorno erano profondamente contrariati. A gennaio 2021 ero tra i fortunati. Mi sono vaccinata e mi sentivo bene, non potevo sottrarmi e non credere in questo miracolo. E lì, mentre altri colleghi cadevano come statuine, io ero sempre a lavoro. Spesso a lavorare in situazioni altamente stressanti, clienti frustrati, senza risposte e momenti in cui cercavamo anche noi delle risposte. L’unica risposta che avevo era affidarmi all’Istituto Superiore di Sanità e all’EMA. Contestualmente spensi la televisione per due anni, non ne volevo assolutamente sapere, ciò che dovevo sapere, l’avrei cercato nelle fonti scientifiche.
A novembre 2021 la terza dose, un’altra opportunità, ma il lavoro era cambiato era diventato frustrante, la richiesta dei tamponi era diventato il fenomeno del momento e riuscire a gestire il servizio in farmacia si era trasformato in qualcosa di surreale e illogico. La popolazione italiana non vaccinata stava diminuendo a vista d’occhio, ma la frustrazione personale era arrivata alle stelle. Anche se erano pochi i non vaccinati, quei pochi ti facevano saltare i nervi e sentirli infarcire la bocca di cose arzigogolate, mi dava sempre più rabbia. La rabbia si bilanciava con la mia pazienza, sospiravo e dicevo: “Parlane con il tuo medico di famiglia se hai dubbi!”.
Non ho mai avuto paura di morire, ciò che mi faceva salire l’ansia era portare a casa qualcosa che non si conoscesse perfettamente e far star male chi amo. Non avevo paura di morire, ma paradossalmente avevo il terrore di varcare la soglia della Farmacia. Negli ultimi mesi si sentiva solo una parola in farmacia ovvero quella di tampone. La comunicazione in questi mesi era stata aberrante, per quanto si facesse “a fin di bene”, si era sconfinati nell’infodemia.
Con i morti in Italia che aumentavano, il cliente aveva un’esigenza: risolvere i problemi del proprio Green Pass. La farmacia in poco tempo si era trasformata in un ufficio informazioni lamentele al pubblico. Le priorità dei clienti in base alle dichiarazioni del governo erano cambiate, ma non dimentichiamoci che il virus c’è ancora. Siamo forse a metà della maratona.
A due anni esatti dall’inizio della Pandemia, il Covid-19 ha preso anche a me. Mi ritengo fortunata, mi ha preso in un momento tutto sommato gestibile in cui si hanno più risposte e si ha una maggiore consapevolezza d’azione. Stare a casa mi ha fatto pensare e staccare da un lavoro che ho sempre amato e che nell’ultimo periodo ho odiato profondamente. Come in ogni storia d’amore, ho avuto bisogno di riflettere. Mettiamola così… il Covid-19 mi ha dato l’opportunità di prendermi una vacanza e apprezzare il mio camice e la mia spilla apposta sul colletto.